mercoledì 30 maggio 2012

d'ANNAzione del giorno: nuovo terremoto, solite delusioni


Un altro terremoto mette in ginocchio l’Italia. Stavolta è successo in Emilia e già contiamo le vittime, oltre ai danni al patrimonio storico che l’Italia non ha ancora imparato a custodire. In entrambi i casi, nessuno mai potrà rimediare, né al dolore dei familiari di chi è rimasto sotto alle macerie, né tanto meno ai crolli che ben sintetizzano quanto ci prendiamo cura delle nostre radici.

Rispetto al terremoto dell’Aquila oggi abbiamo un governo nuovo, un governo di tecnici che dovrebbero accompagnarci per mano fuori dalla crisi. Crisi economica, crisi delle idee, crisi della morale. Rispetto all’Aquila è cambiato ben poco. L’Italia – le istituzioni italiane – non hanno poi fatto granché per mettere in sicurezza le nostre vite. Mi viene in mente quello che è successo alle Cinque Terre, per non parlare di Genova, che per motivi ovvii non potrà mai essere cancellato dalla mia mente.
Siamo ancora qui a contare le vittime e a dire che i luoghi di lavoro non sono sicuri, le case non sono sicure, le strade non sono sicure. Dove dovremmo rifugiarci allora?

Poi, oltre al danno la beffa, come da tradizione. Ci avviciniamo ai festeggiamenti del 2 giugno. Festeggiamo ancora esibendo con orgoglio le nostre forze armate e tutto quello che si portano dietro, neanche fossimo una grande potenza pronta ad entrare in guerra. Per giunta, una guerra – qualsiasi guerra – noi la perderemmo sicuramente. E’ tutto organizzato da tempo quindi il passaparola sui social network che chiede di sospendere la parata e di donare ai terremotati i finanziamenti per il 2 giugno non potrà trovare riscontri pratici. Quei soldi sono già stati spesi.

Ed è questo il peggio di tutta la vicenda. I soldi sono già stati spesi, quindi qualcuno ha deciso che, ancora una volta, nonostante tutto - nonostante la crisi, nonostante la disoccupazione alle stelle, nonostante gli italiani fatichino ad arrivare a fine mese – la parata era necessaria. E’ vero, ci sono occasioni cariche di significato, simboliche, che non si possono eliminare su due piedi. Ma quanti italiani il 2 giugno saranno incollati alla tv per vedere cosa succede ai Fori Imperiali? Troppo pochi, decisamente, perché nel 2012 ancora si celebri in questo modo. Dobbiamo continuare a celebrare la Repubblica, ma quella per cui sono morti i partigiani. Non servono certo parate e sperpero di denaro insensato. Per giunta, invece di chiedere soldi ai partiti (che intanto fanno orecchio da mercante e non si tagliano i rimborsi elettorali), invece di partire dall'alto tagliando subito il superfluo senza esitazioni per dare respiro all'Emilia, nel giro di qualche ora è stato deciso l'ennesimo aumento della benzina. Pagheranno gli italiani, tutti, il popolo, perché il governo possa dire di aver contribuito a recuperare denaro da destinare alle zone colpite. Pagheranno sempre gli stessi, pagheremo noi, e sempre gli stessi domani moriranno sotto un altro capannone mentre stavano al lavoro.

A margine di tutto questo, negli stessi giorni il Papa ha programmato la sua visita a Milano. E’ da oltre un mese che si va a vanti a rendere più belle le strade che percorrerà. Soldi che se ne vanno, e tutto per un paio d’ore in cui Benedetto XVI onorerà i milanesi della sua presenza. Che dire? La Chiesa non rinuncia certo alla ricchezza dall’oggi al domani, è un’utopia. Ma in queste ore, mentre i terremotati cercano un appglio qualsiasi per ricominciare, una mano in tasca credo proprio che la Chiesa dovrebbe mettersela. Se non perché costretta, almeno per coerenza con quel Vangelo che tanto parla di povertà.

lunedì 14 maggio 2012

Addio vecchio calcio



Sono di parte, ovviamente, e quindi l’addio di Del Piero alla Juve ha un sapore a dir poco amaro. Ieri è stata l’ultima giornata del campionato di calcio di Serie A e l’ultima partita su un campo di A per molti giocatori, molte bandiere del “mio” calcio, di quel calcio che una volta mi piaceva tanto. Dice addio Del Piero, ma nella stessa giornata anche Inzaghi, per esempio, ha giocato sapendo che l’unica certezza da oggi sarebbe stata quella di non aver ottenuto il rinnovo del contratto che lo lega al Milan.
E’ la generazione dei calciatori che si è affermata quando la mia, di generazione, scopriva il calcio e iniziava a seguire la propria squadra del cuore. Prima che arrivassero i vari Balotelli che girano con auto sportive all’ultimo grido, che mettono in piazza la loro vita privata e si ammazzano di festini. Era una generazione diversa e oggi già manca. Era il calcio “pulito”, anche se si allungava l’ombra del doping su qualcuno. Era un calcio diverso, scendevano in campo il cuore e l’onore prima che i piedi.
Oggi i Maldini, i Del Piero, i Baresi, i Vialli, i Mancini fanno parte della storia, non soltanto del calcio visto che per l’Italia il calcio e la storia spesso si fondono.  E oggi sarà un po’ più difficile – per me, ma credo per molti altri italiani – trovare altre bandiere che facciano ancora amare uno sport diventato troppo marketing, troppo ricchezza, troppo sperpero, troppa superbia e troppo poco uno spettacolo. Anzi, un gioco.

venerdì 11 maggio 2012

d’ANNAzione del giorno: donne, impariamo ad urlare


Da quelle parti ci passavo anche io tutti i giorni fino a poco tempo fa. Scendevo dalla metro a Porta Romana, poche centinaia di metri a piedi e arrivavo in ufficio. Una zona centrale, della “Milano bene”, di quelle zone in cui non ti aspetti certo di incontrare tra la folla lo sguardo di uno stupratore. Il problema è che, sotto sotto, siamo tutti un po’ legati alle teorie di Lombroso e allora ci immaginiamo qualcuno non proprio di bell’aspetto, uno straniero solitamente, che non ispira fiducia nemmeno a prima vista. E invece il mostro è spesso carino, insospettabile. O il mostro è in casa, è un parente, o un amico.
A Milano è successo di nuovo qualche giorno fa ad una ragazzina. 13 anni. Lei scende dalla metro in piazzale Medaglie d'Oro, lui la segue già da un po’. Quando lei entra nel portone di casa, in una giornata da lupi (piove a catinelle) lui estrae la sua pistola giocattolo e le chiede di salire in casa. Lei risponde che ci sono i suoi genitori e allora la violenza si consuma lì accanto, in uno spazio vicino all’ingresso del palazzo.
Sembra incredibile. Nessuno vede, nessuno sente, come nella maggior parte dei casi. Non sappiamo se la ragazzina abbia urlato o reagito ma ora sappiamo chi è il mostro. E’ Luigi Terranova, è un imprenditore, si sposta tra Milano e Firenze per lavoro. Ha 30 anni. Mi verrebbe da chiedere a qualche  mio amico se ha mai pensato anche lontanamente di fare una cosa del genere, perché ormai non c’è di che stupirsi.
A Milano stava succedendo ancora ad una maestra 26enne, stavolta era un pizzaiolo marocchino ubriaco. Per non parlare della povera Vanessa, che in Sicilia è stata uccisa dal suo ragazzo perché avrebbe (avrebbe!) pronunciato il nome dell’ex durante un momento di intimità.
Le molestie sono all’ordine del giorno. Accade spesso sui mezzi pubblici e chissà quante donne non aprono bocca, non segnalano agli autisti o ai carabinieri di essere state oggetto di “attenzioni insistenti” da parte del solito molestatore. A volte forse non diamo troppo peso alla cosa. Resta il fatto che le donne siano ancora oggi, nel 2012, un bersaglio facile. E’ una condizione immutabile. Siamo inferiori dal punto di vista fisico, inutile negarlo, e se un uomo vuole farci del male raramente riusciremo a vincere. C’è chi riesce a scappare, urlare, divincolarsi, ma ancora oggi abbiamo paura di uscire la sera, di tornare tardi dal lavoro e girare da sole.
Poi in molti casi sono piccolezze. Una mano sul sedere, un gomito che si allunga troppo, magari anche solo una parola in più che può condizionare la nostra giornata. La tragedia è che la maggior parte delle volte non reagiamo. Lasciamo correre. E invece ad ogni minima violenza, psicologica soprattutto, dovremmo alzare la voce, reagire. Credo sia un’arma contagiosa, questa. Credo che vedere una donna in metro che sputtana il palpeggiatore di turno sia la molla che faccia scattare nella prossima donna l’istinto a ribellarsi.
Dovrebbero insegnarcelo le nostre madri a fare così, a dirci che non siamo l’oggetto di nessuno e che nessuno ha il diritto di trattarci come tali. “Una donna non si tocca neanche con un fiore”, dicevano le nostre nonne. Ed è così che deve essere. Urliamo più forte. E teniamoci d’occhio l’un l’altra quando siamo per strada.