Domanda: Cosa si fa quando si abbandona il proprio blog per un po’?
Risposta: Si pensa, si riflette, si cercano nuove strade.
Eppure, nel frattempo, per il mondo del Web si muore. Si muore in quanto scrittori, in quanto blogger. Si viene dimenticati, insomma.
Torno a scrivere pensando alle centinaia di blog abbandonati che ho visto finora.
Pensate stia esagerando? Pensate non siano così tanti?
Allora provate a ricordare quante volte, cercando un’informazione partendo da Google, vi siete imbattuti in un post scritto troppi anni fa perché lo utilizzaste come fonte certa o credibile, posto tra le pagine virtuali di un blog lasciato morire di fame lentamente.
Non ho mai creduto in una potenza vera e propria dei blog. Qualche blog è diventato popolare a livelli impareggiabili (mi viene in mente quello di Beppe Grillo, è scontato), ma la maggior parte dei blog resta un pezzettino minuscolo di un mosaico infinitamente grande.
Un post è come una scritta sul muro di una grande città: se qualcuno passa di lì, leggerà quello che dice, altrimenti niente da fare. E, in ogni caso, anche chi passerà di lì e leggerà, poi dimenticherà.
Pessimismo? Non credo. Aprire un blog significa provare a farsi notare, cercare un pubblico che non si può avere archiviando i propri pensieri in una cartella sul proprio desktop.
Non si scrive mai soltanto per se stessi. Si aspira sempre a farsi leggere e ad uscire leggermente dall’anonimato. Basta una cerchia ristretta di amici per sentirsi gratificati.
Con i blog si risparmia inchiostro, si può correggere più agevolmente, si può cancellare, si può aggiungere, ci si può persino autocommentare.
Finché ci sarà permesso, si potrà anche parlar male di questo o di quel personaggio pubblico, si potrà immaginare di scrivere per un grande quotidiano e sperare persino di essere letti più dei grandi opinionisti che si contendono le ospitate in tv.
Quello che a volte dimentichiamo è che si può anche decidere di restare in silenzio.
Ma la macchina del Web 2.0 questo non lo ammette.
Esserci, esserci, esserci. Questo è l’imperativo.
Se non esisti on-line sei morto.
E infatti, se non si scrive per un po’, si rischia di essere dimenticati.
Ecco la difficoltà di farsi strada con un blog.
Ed ecco perché non m’importa in quanti mi leggono, né sono una maniaca delle statistiche.
Scrivo quando ho voglia, se ho voglia. E se non scrivo qui – sappiatelo – scrivo ugualmente, scrivo per me, scrivo per pochi, scrivo di cose mie, scrivo sui tovaglioli di carta, sulle pagine del squadernino stropicciato che porto sempre in borsa.
I pensieri migliori sono sempre quelli che arrivano quando non si ha sotto mano un computer. Non sono racconti, non sono discorsi compiuti, sono spizzichi. L’importante è fissarli da qualche parte, il loro momento arriverà.
Perché sprecarli? Non ora, non su un post…
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