venerdì 7 ottobre 2011

I giornalisti precari rivogliono la dignità (e paghe eque). Qualcuno ci ascolta?

“Giornalisti e Giornalismi”: si chiama così l’incontro in corso oggi a Firenze. Nella diretta streaming ho visto salire sul palco tanti giornalisti, giovani e meno giovani, ognuno con una propria storia che parla di precariato.

Mi sono sentita meno sola nella mia incaxxatura contro il sistema, su questo non ci piove. Ma il mio stato d’animo non è migliorato, in fin dei conti.

Sono centinaia - migliaia direi - i giornalisti che oggi scrivono per pochi euro ad articolo, che non possono pensare ad una famiglia perché non sono stipendi da mondo civile, che devono lottare per recuperare i soldi che spettano loro, che vivono da precari, che non sanno come fare a migliorare la propria sorte e, soprattutto, non si sentono affatto tutelati.

Molti di noi – perché di questa classe faccio parte – hanno già rinunciato, scegliendo di cambiare lavoro ed accontentarsi di una collaborazione ogni tanto. Ci sentiamo abbandonati, questa è la realtà. Per molti è il sogno di una vita che crolla, ma se non puoi fare un lavoro che ti piace, quello per cui sei nato, poi dopo un po’ non sei più te stesso, ti senti incompleto, sai che potresti dare tanto ma devi scegliere tra lavorare praticamente gratis o pagarti un affitto, la spesa e, se sei fortunato, una pizza al sabato sera.

Lo scorso giugno il precariato del mondo dei giornalisti ha ucciso Pierpaolo Faggiano, un collega pugliese di 41 anni che non ce l’ha fatta a sopportare le continue umiliazioni del suo lavoro. Bravo, competente, un sacco di complimenti per Pierpaolo, ma lui restava pur sempre povero, uno che con il suo lavoro non arrivava a fine mese e non per colpa sua. Cosa puoi fare quando sai di valere ma nessuno te lo riconosce?

Siamo in molti nella stessa situazione e sapere che qualcuno si è suicidato per questo fa salire il sangue al cervello. Eppure i giornalisti sono una razza strana, che raramente si unisce e scende in piazza, preferiscono lamentarsi ma guardarsi le spalle dai colleghi, nell’ansia che qualcuno li scalzi dalla poltroncina. Parlo dei “vecchi”, perché quelli della mia generazione raramente siedono da qualche parte.

Non a caso, qualche giorno fa crolla una palazzina a Barletta e tutti i titoli parlano dei 4 euro all’ora che prendevano le vittime, sepolte insieme alla maglieria dove lavoravano in nero. Tutti sconvolti questi giornalisti, questi direttori illustri, gli stessi che, quasi sicuramente, ospitano in redazione stagisti senza concedere un rimborso anche minimo e che sanno bene a quanto ammonta la paga ad articolo dei collaboratori esterni, tutti con contratti co co co, ammesso che ne abbiano uno.

E allora sapere che a Firenze se n’è parlato potrebbe essere una consolazione, ma non lo è. C’erano anche i rappresentanti dell’Ordine, come se avessero bisogno, prima di agire finalmente, di sentirsi raccontare le storie sfortunate dei precari. Dove sono i controlli agli editori? Quando si arriva con il malloppo di articoli per iscriversi nessuno chiede quanto si è stati pagati. L’importante è versare la tassa annuale, se ti senti sfruttato affari tuoi. Nessuno entra nelle sedi di giornali e tv per sapere quanti precari ci sono e quanto vengono pagati.

Ci sono compensi al di sotto dei quali non si può scendere e bisogna fare in modo che sia così. Punto. Ma non sono solo i giornalisti a dover rifiutare le “proposte indecenti”, è chi li tutela che dovrebbe iniziare a farlo sul serio, rimboccandosi le maniche, espellendo i fannulloni e facendo in modo che i più meritevoli facciano strada, gli altri a casa. D’altra parte è l’unico modo per fare in modo che la categoria intera non perda credibilità. E’ tanto complicato?

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