Da quelle parti ci passavo anche io tutti i
giorni fino a poco tempo fa. Scendevo dalla metro a Porta Romana, poche
centinaia di metri a piedi e arrivavo in ufficio. Una zona centrale, della “Milano
bene”, di quelle zone in cui non ti aspetti certo di incontrare tra la folla lo
sguardo di uno stupratore. Il problema è che, sotto sotto, siamo tutti un po’
legati alle teorie di Lombroso e allora ci immaginiamo qualcuno non proprio di
bell’aspetto, uno straniero solitamente, che non ispira fiducia nemmeno a prima
vista. E invece il mostro è spesso carino, insospettabile. O il mostro è in
casa, è un parente, o un amico.
A Milano è successo di nuovo qualche giorno
fa ad una ragazzina. 13 anni. Lei scende dalla metro in piazzale Medaglie d'Oro, lui la segue già da un po’. Quando lei entra
nel portone di casa, in una giornata da lupi (piove a catinelle) lui estrae la
sua pistola giocattolo e le chiede di salire in casa. Lei risponde che ci sono
i suoi genitori e allora la violenza si consuma lì accanto, in uno spazio vicino
all’ingresso del palazzo.
Sembra incredibile. Nessuno vede, nessuno sente, come nella maggior parte dei casi. Non sappiamo se la ragazzina abbia urlato o reagito ma ora sappiamo chi è il mostro. E’ Luigi Terranova, è un imprenditore, si sposta tra Milano e Firenze per lavoro. Ha 30 anni. Mi verrebbe da chiedere a qualche mio amico se ha mai pensato anche lontanamente di fare una cosa del genere, perché ormai non c’è di che stupirsi.
Sembra incredibile. Nessuno vede, nessuno sente, come nella maggior parte dei casi. Non sappiamo se la ragazzina abbia urlato o reagito ma ora sappiamo chi è il mostro. E’ Luigi Terranova, è un imprenditore, si sposta tra Milano e Firenze per lavoro. Ha 30 anni. Mi verrebbe da chiedere a qualche mio amico se ha mai pensato anche lontanamente di fare una cosa del genere, perché ormai non c’è di che stupirsi.
A Milano stava succedendo
ancora ad una maestra 26enne, stavolta era un pizzaiolo marocchino ubriaco. Per
non parlare della povera Vanessa, che in Sicilia è stata uccisa dal suo ragazzo
perché avrebbe (avrebbe!) pronunciato il nome dell’ex durante un momento di
intimità.
Le molestie sono all’ordine
del giorno. Accade spesso sui mezzi pubblici e chissà quante donne non aprono
bocca, non segnalano agli autisti o ai carabinieri di essere state oggetto di “attenzioni
insistenti” da parte del solito molestatore. A volte forse non diamo troppo
peso alla cosa. Resta il fatto che le donne siano ancora oggi, nel 2012, un bersaglio
facile. E’ una condizione immutabile. Siamo inferiori dal punto di vista
fisico, inutile negarlo, e se un uomo vuole farci del male raramente riusciremo
a vincere. C’è chi riesce a scappare, urlare, divincolarsi, ma ancora oggi
abbiamo paura di uscire la sera, di tornare tardi dal lavoro e girare da sole.
Poi in molti casi sono
piccolezze. Una mano sul sedere, un gomito che si allunga troppo, magari anche
solo una parola in più che può condizionare la nostra giornata. La tragedia è
che la maggior parte delle volte non reagiamo. Lasciamo correre. E invece ad
ogni minima violenza, psicologica soprattutto, dovremmo alzare la voce,
reagire. Credo sia un’arma contagiosa, questa. Credo che vedere una donna in
metro che sputtana il palpeggiatore di turno sia la molla che faccia scattare
nella prossima donna l’istinto a ribellarsi.
Dovrebbero insegnarcelo le
nostre madri a fare così, a dirci che non siamo l’oggetto di nessuno e che
nessuno ha il diritto di trattarci come tali. “Una donna non si tocca neanche
con un fiore”, dicevano le nostre nonne. Ed è così che deve essere. Urliamo più
forte. E teniamoci d’occhio l’un l’altra quando siamo per strada.
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