Già, perché le ferite di Silvio guariranno e, se così non fosse, ci penserà un chirurgo plastico a premere il pulsante Rew e a farlo tornare liscio e profumato.
Ma la sorte di Tuvalu potrebbe non essere la stessa. Tuvalu nemmeno sappiamo cos’è. Preferiamo a farci martellare i timpani con reazioni e contro-reazioni di leader politici e opinionisti vari, ma tanto non si torna indietro. Il nostro premier ne uscirà, coglierà l’occasione per farsi santificare dai suoi e farsi screditare ancora dagli altri. Il ritornello è sempre uguale. A noi che cambia? C’è la crisi, c’è chi non arriva alla fine del mese, c’è il barbone che crepa sulla panchina, c’è il cinese che vende di più e l’italiano che chiude la saracinesca.
Tra poco è Natale. Fermiamoci e pensiamo a Tuvalu. Il suo delegato al summit di Copenaghen ha ricordato in lacrime quale potrebbe essere il futuro per il suo arcipelago: la morte.
“Il destino del mio Paese è nelle vostre mani”, ha detto Fry. L’appello per la salvezza del suo Paese atollo è rivolto ai grandi della terra: se non si firmerà – e non si rispetterà - un accordo che limiti le emissioni e fermi l’innalzamento della temperatura globale saranno i tanti piccoli Paesi del Pacifico a farne le spese.
Loro non se la caveranno con qualche giorno in ospedale. Non sarà il caso di ascoltarli?
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