martedì 5 gennaio 2010

Roma: alta velocità e sublime immobilità

Il mio Capodanno è iniziato il 29 dicembre: Frecciarossa Milano Centrale-Roma Termini. Tra parentesi, avevo scelto due posti adiacenti e me ne sono ritrovata due su lati opposti, avevo scelto di partire alle 8 e fino alle 8 e mezza il mitico treno AV non ne ha voluto sapere di muoversi (è pur sempre un ammasso di metallo e plasticoni vari). A bordo, soliti incontri casuali, soliti sguardi muti miste ad occhiatacce verso vicini di poltrona troppo fastidiosi, il tutto unito a caffè insipido servito in bicchierini instabili.

Poi, Roma. Con un’oretta di ritardo (“Ci scusiamo per il ritardo”, “Trenitalia vergogna”), iniziano i 5 giorni di vacanza-lampo.
Roma è Roma, non ci sono parole per descriverla. I dettagli sulle guide non possono esprimere la meraviglia. Ore ed ore di cammino, piedi indolenziti e gambe stanche, ma bocca sempre spalancata e naso all’insù.
A Roma ti senti piccolo. Vorresti abbracciare tutto ciò incontri: colonne, fontane, obelischi, piazze, palazzi, piante.
A Roma ti senti mortale. Sei al centro del mondo, al centro della storia, senti che il tempo è fermo, guardi pietre che stanno lì da secoli e sai solo una cosa: tu hai una data di scadenza scritta sul tuo DNA, loro no.
A Roma tutto è tipico, anche i cassonetti troppo pieni, le vecchiette che spingono sugli autobus per aprirsi un varco verso l’uscita, le strade dissestate piene di pozzanghere e fanghiglia.
A Roma viene in mente il ‘sublime’. Reminiscenza dai libri del liceo: per Edmond Burke il Sublime è tutto ciò che “produce la più forte emozione che l'animo sia capace di sentire”, ma riferito soprattutto a forze naturali inarrestabili, come eruzioni, paesaggi innevati, mari in tempesta. Sublime, per Burke, è tutto ciò che rimarca una certa distanza incolmabile tra soggetto e oggetto. Per Kant, il sublime matematico è rappresentato da oggetti quali un oceano, un deserto o il cielo, di fronte ai quali l’uomo riconosce dapprima i propri limiti, per poi riconoscere di essere comunque superiore grazie alla propria capacità di azione morale. Infine, per Schopenhauer, il sublime è il piacere che si prova osservando la potenza o la vastità di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva. Roma è tutto questo: lascia spaesati, spiazzati, rende l’uomo formica e poi gli permette di rendersi conto di quanto possa essere geniale. Roma è nostra, è reale, l’hanno creata i nostri simili.

Restano con me, portati a casa a bordo di un altro Frecciarossa:
negli occhi, tutto quello che mai una macchina fotografica potrà catturare;
sul palato, il sapore della cucina casalinga, semplice e buona;
nelle orecchie, lo scroscio ipnotico della fontana di Trevi;
tra le dita, le asperità del marmo consumato;
nelle narici, i profumi di Trastevere sotto la pioggia.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Belle foto...

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